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A NOME TUO

«Perché loro hanno diritto di sapere come fare per morire dolcemente e io ho bisogno di supplicare lei, Miele?
Questa cosa che lei fa a pagamento dovrebbe essere di pubblico dominio, dovrebbe essere una cosa che so fare anch'io, che sappiamo fare tutti!»

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Miele è una ragazza come tante, ma nasconde un segreto.

Da tre anni vive una doppia vita. Ha deciso di aiutare a morire le persone che lo desiderano: malati terminali che vogliono abbreviare l'agonia, persone le cui sofferenze intaccano la dignità di essere umano.

Ma un giorno un incontro la obbliga a rimettere in discussione tutte le sue certezze.

IL LIBRO

Prima di arrivare a A nome tuo c’è ancora un altro tassello da aggiungere. Nel 2009 Stile Libero pubblica Vi perdono, il libro shock dell’esordiente Angela Del Fabbro, dietro la quale, dichiara la nota biografica, si cela un nome che si preferisce non rivelare. Da subito, l’ipotesi più accreditata è che il libro sia autobiografico, e che lo pseudonimo serva a proteggere la protagonista di una storia simile a quella raccontata nel romanzo: un angelo della morte, una donna che aiuta i moribondi a porre fine alla propria agonia. Eppure l’indizio c’era, sotto gli occhi di tutti, proprio in quel nome: Del Fabbro è la traduzione italiana del cognome croato Covacich.

Dopo anni di ricerca «era naturale – racconta Covacich a Maurizio Bono per Repubblica – che a un certo punto provassi a forzare nella direzione opposta: se non posso mai essere davvero me stesso, forse posso essere un altro, o un’altra. E magari scrivere per lei». Ad Angela Del Fabbro l’autore aveva affidato una parte molto importante della sua storia, quella che ha a che fare con il rapporto con le proprie radici. «Angela si era presa tutto della mia vita, - dice ancora a Repubblica, - l’agonia di mio padre, l’impossibilità di aiutarlo, e poi quella gita sugli sci, il giorno più gioioso vissuto insieme ai miei. Si era presa la storia più importante che avessi scritto».

 

 

Ed è che così che nasce A nome tuo: dall’esigenza di riappropriarsi di quella storia. Raccontare il dietro le quinte, il prima, il momento nel quale l’autore decide di essere altro, cede alle lusinghe del proprio personaggio e le presta la propria identità. Con la speranza che questa donna solo immaginata, eppure così vorace nell’impossessarsi della vita altrui, possa finalmente andarsene.

Con A nome tuo la dimensione del reale e quella della finzione implodono in un romanzo sorprendente, che riagguanta i frammenti di un’identità sparpagliata tra storia presente, storia passata e immaginazione. Forse questa volta il ciclo è davvero chiuso, e Covacich ci invita a guardare la sua opera con una nuova consapevolezza che può sembrare una resa, ma che, invece, è la sintesi dei legami misteriosi che attraversano la letteratura e la vita: «scrivere è mentire, sempre. Ma forse mentire è la mia condizione autentica, la verità dell’invenzione».

A nome tuo

 
 
una produzione
Pim Spazio Scenico

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